Canone per pc, smartphone e tablet: la rai ci ripensa dopo le proteste.

Obbligo solo per gli apparecchi adattati alla ricezione effettiva dei canali televisivi. Il mero possesso dei computer non comporta il pagamento del canone speciale.

Sono sempre più numerose le persone che si vedono raggiunte da una fastidiosa missiva della RAI (precisamente della Direzione Amministrazione Abbonamenti) lamentante la mancata stipulazione di un abbonamento alla televisione e preannunciante gli accertamenti di legge da parte dell’Amministrazione Finanziaria dello Stato “a carico dei detentori di apparecchi atti od adattabili alla ricezione dei programmi televisivi non abbonati” (art. 1, R.D.L. 246/1938 ed art. 27, L. 223/1990).

La seconda norma citata (la famigerata “legge Mammì”) ha di fatto esteso il pagamento del canone RAI (dunque l’obbligo di stipulare un abbonamento alla TV) anche ai possessori di “apparecchi atti od adattabili alla ricezione dei programmi televisivi non abbonati” ossia dispositivi che potrebbero anche solo potenzialmente ricevere il segnale TV e dunque anche personal computers, apparecchi radio, ed addirittura videofonini!

La maggior parte dei destinatari di simili missive finisce per pagare, ma poiché la legittimità della richiesta appare quantomeno dubbia (è infatti regolata da un regio decreto del 1938, quando non esisteva neppure la TV ma solo la radio, e dunque da una norma che ben poco s’adatta alle evoluzioni tecnologiche occorse da allora ad oggi), sono sempre più numerosi i ricorsi presentati anche tramite le associazioni dei consumatori, al Garante del Contribuente nella sua sede competente di Torino.

Ed ora pare che questa valanga di ricorsi abbia finalmente indotto l’azienda di viale Mazzini a rivedere le proprie posizioni. Le roventi polemiche suscitate dalla richiesta di pagamento del c.d. “abbonamento speciale” per i possessori di p.c., tablet e smart phones, hanno infatti condotto al tanto auspicato riconoscimento, da parte della RAI, del principio che il mero possesso di simili apparecchi tecnologici non comporta, ex se, il pagamento del canone.

In un primo momento, l’azienda si è arroccata in difesa di posizioni aventiniane in aperto conflitto con lo sforzo del governo Monti per favorire la diffusione massiccia dell’uso, della cultura e delle opzioni di crescita del web.

Per convincere la RAI a rivedere le proprie posizioni, oltre al calo di consensi e di popolarità sotto i limiti di guardia, è stato forse necessario che il caso finisse in Parlamento: molteplici sono state infatti le interrogazioni parlamentari presentate sull’argomento da diversi deputati e senatori di vari schieramenti. I capigruppo della Commissione di vigilanza sulla RAI hanno richiesto l’intervento del ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera ed anche Confindustria Digitale ha minacciato guerra ad oltranza. Decisivo l’intervento del Dipartimento per le comunicazioni, che ha convinto la RAI a desistere, costringendola ad accettare un’interpretazione restrittiva della norma, nel senso dell’applicazione del canone speciale ai soli apparecchi effettivamente in grado di ricevere il segnale dei canali televisivi e dunque abilitati al c.d. “digital signage”.

Resta da chiarire come si regolerà d’ora innanzi la RAI con gli innumerevoli destinatari delle sopra menzionate lettere di sollecito.


Studio Legale Reichel
Beatrix Grossblotekamp, LL.M.
Rechtsanwältin